L'ultimo viaggio di Ulisse. L'eroe omerico attraverso lo sguardo degli autori.

Opera scritta da Pascoli nel 1904, completata e pubblicata nel 1905. È una raccolta di 20 componimenti riguardanti episodi e personaggi mitologici dell'antichità. Tra i poemi si ricorda sopratutto "L'ultimo viaggio", in 24 canti, che riprende le avventure di Ulisse rappresentato, come da Dante, in modo più umano e mortale.

La lirica, tratta da Mediterranee e pubblicata nel 1948 come conclusione del Canzoniere, serve quasi a rappresentare un testamento spirituale con cui Saba rievoca la sua giovinezza e la sua maturità, paragonando la sua esistenza a un viaggio. Ma il pericolo e il rischio fanno parte della vita, e anche da vecchio, il poeta non sa rinunciare all'antico spirito di avventura, consapevole che "il porto accende ad altri i suoi lumi" mentre il suo disperato attaccamento alla vita ancora lo spinge al "largo". Di notevole importanza è il titolo della poesia: l'eroe omerico, infatti, ripreso più volte da diversi autori di differenti letterature, diventa il simbolo della brama di conoscenza dell'uomo e della sua voglia di infrangerne i limiti.

I dialoghi con Leucò è un compendio di ventisei racconti nella forma di dialoghi a sfondo mitologico e simbolico. L'opera fu scritta nel 1946 e pubblicata da Einaudi nel 1947. Nucleo fondamentale su cui si basa la raccolta è il tema del mito che viene riproposto in chiave moderna e "fantastica" come l'essenza latente e immortale presente nella storia dell'umanità. Il mito diviene in questo modo la chiave necessaria d'interpretazione della realtà, la porta che si apre di fronte alla cultura comune dell'uomo e della società. È vero che Pavese attinge direttamente da una mitologia tramontata, quella greca, ma è una mitologia carica di significati universali che ci appartengono ancora in modo profondo e che permettono di esternare ed eternare i desideri, le paure e i sentimenti più inconsci e remoti dell'uomo di oggi, e dell'uomo di ieri.

Nel mito vero e proprio c'imbattiamo ogni volta che ci accade di riandare nel tempo all'inizio di un'epoca di poesia. Risalendo il cammino della civiltà di qualunque popolo vediamo le sue varie espressioni di vita colorirsi sempre piú di miticità, finché viene il momento che nulla piú si fa né si pensa nell'àmbito della tribú che non dipenda da un modello mitico. Che cosa significa questo dipendere? Le varie usanze quotidiane e festive, il linguaggio, le tecniche, le istituzioni e le passioni, tutto si modella su fatti accaduti una volta per sempre, su divini schemi che in un senso non soltanto temporale sono all'origine di ogni attività ‒ qualcosa, per accadere, ha bisogno d'esser già accaduto, d'essere stato fondato fuori del tempo. II mito è ciò che accaderiaccade infinite volte nel mondo sublunare eppure è unico, fuori del tempo, cosí come una festa ricorrente si svolge ogni volta come fosse la prima, in un tempo che è il tempo della festa, del nontemporale, del mito. Prima che favola, vicenda meravigliosa, il mito fu una semplice norma, un comportamento significativo, un rito che santificò la realtà. E fu anche l'impulso la carica magnetica che sola poté indurre gli uomini a compiere opere. (Pavese, 1950).

Pubblicata nel 2001 da Adelphi, "L'ignoranza" è Il ricordo, la nostalgia, la lontananza e, di conseguenza, l'oblio: l'ignoranza di volti, fatti e sentimenti che non fanno più parte della quotidianità ma si perdono nel vortice del passato. La storia è semplice ma dai risvolti complessi: Irena e Josef sono due esuli cechi che, fuggiti dal loro paese in seguito alla repressione del regime comunista, si incontrano casualmente all'aeroporto di Parigi mentre stanno tornando in patria per la prima volta dopo vent'anni. Durante la loro assenza sono avvenuti molti cambiamenti non solo nelle persone e nei luoghi che hanno lasciato ma anche in loro stessi; completamente spaesati i due finiscono per sentirsi estranei al loro stesso passato. L'insanabile incongruenza che si manifesta quasi immediatamente tra i ricordi di chi ritorna e la memoria di chi è rimasto mina irrimediabilmente l'identità dei protagonisti e travolge una storia d'amore, finita ancor prima di nascere.

Considerati tra i capolavori della letteratura del Novecento, questi quindici racconti - terminati nel 1906 ma pubblicati soltanto nel 1914 perché per la loro audacia e realismo gli editori li rifiutarono - compongono un mosaico unitario che rappresenta le tappe fondamentali della vita umana: l'infanzia, l'adolescenza, la maturità, la vecchiaia, la morte. Fa da cornice a queste vicende la magica capitale d'Irlanda, Dublino, con la sua aria vecchiotta, le birrerie fumose, il vento freddo che spazza le strade, i suoi bizzarri abitanti. Una città che, agli occhi e al cuore di Joyce, è in po' il precipitato di tutte le città occidentali del nostro secolo.

La vicenda si svolge a Dublino, Irlanda; il romanzo narra tutto ciò che accade fra le otto del mattino e le due di notte del 16 giugno 1904 ai tre protagonisti del racconto: l'ebreo Leopold Bloom (Ulisse), la moglie Molly (Penelope) e il giovane Stephen Dedalus (Telemaco: una sorta di figlio spirituale di Bloom).

Si comincia con l'inizio della giornata di Stephen, giovane letterato in crisi. Alle sue vicende s'intrecciano presto quelle, spesso banali, che capitano all'agente di pubblicità Leopold Bloom: risveglio, partecipazione al funerale di un conoscente, arrivo in ufficio, visita alla redazione di un giornale. Man mano Bloom incontra vari personaggi e subisce una serie di sottili ingiurie in quanto ebreo.

Spesso sfiora il cammino di Stephen, senza però mai entrare in contatto con lui.

All'ora di pranzo Bloom ritorna a vagabondare per le strade di Dublino: persone, negozi, monumenti, musei, sfilano svogliatamente dinanzi ai suoi occhi, mentre Stephen si trova alla Biblioteca Nazionale dove intavola una discussione su Shakespeare. Anche Bloom sosta brevemente alla biblioteca, dove sono sussurrate nuove malignità sulla sua origine ebraica.

Giunta la sera, ripensa ai tanti insuccessi della giornata a un'amica, e quindi si ritrova a far baldoria con un gruppo di giovani. Stephen, lì presente, propone di avviarsi verso un pub.

Il gruppo si muove in piena notte per le strade più malfamate della città, entra in un bordello e innesca una rissa; Bloom deve adoperarsi per salvare la reputazione di Stephen, ormai ubriaco.

Poi lo guida verso casa sua. A casa di Bloom i due parlano della loro vita passata e presente, ma senza intendersi mai realmente: dopo aver esposto i propri progetti letterari, Stephen rifiuta l'offerta di una stanza per le notte e abbandona Bloom.

Questi, ripensando alla giornata vissuta, raggiunge a letto la moglie. Il romanzo si conclude con un lungo soliloquio di Molly, che nel dormiveglia ripercorre alcuni episodi della sua esistenza.

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