La valle dei palmenti Sulle Tracce dEll'Archeologia del vino ai piedi del vulcano etna

Etna, versante Nord, oltre il fiume Alcantara
Le immagini qui riprodotte riguardano un'ampia zona a Nord-Ovest di Castiglione di Sicilia e sulla riva nord del fiume Alcantara. Questa zona non fa parte dell'edificio vulcanico dell'Etna in quanto l'Alcantara ne costituisce il limite settentrionale. I suoli non sono caratterizzati dalla presenza di materiale lavico, ma abbondano di arenaria.

La realtà di questi palmenti rupestri è poco nota. Sono decine, forse centinaia, rintracciabili non senza qualche difficoltà perché spesso richiedono di avventurarsi in aperta campagna, lontano da sentieri tracciati o strade rurali. Grazie al team di Etna Wine Lab (Valeria e Mario Càrastro, Mauro Castorina) è stato possibile rintracciarne alcuni, sotto la guida di Ferruccio Puglisi, naturalista, autore di varie pubblicazioni e articoli, e di ben due libri su questo argomento: "Fascino e mistero di una singolare scoperta" (1996) e "La valle dei palmenti" (2009), al titolo del quale mi sono rifatto per questo breve resoconto digitale. Infine, oltre al sottoscritto, si è unito al piccolo gruppo Walter Speller, giornalista del vino e scrittore britannico.

Da sinistra, Valeria Càrastro, Walter Speller e Ferruccio Puglisi.
Antico palmento rupestre
Il termine "palmento" assume diversi significati in Italia, che variano a seconda dei contesti e delle regioni. In Sicilia, palmento è d'uso corrente, sia con riferimento al vecchio locale agricolo ove ancora si pigia l'uva, sia per denominare qualche struttura di ricezione turistica e di ristorazione, il cui edificio ospita, o aveva un tempo ospitato (...) un opificio per la trasformazione dell'uva in vino.

Ferruccio Puglisi, "La valle dei palmenti"

I palmenti sono quindi l'impianto primordiale nel quale venivano pigiate le uve vendemmiate da vigne allevate nelle vicinanze. Nel tempo si sono evoluti in complessi edifici dotati di macchinari molto sofisticati, che oggi possiamo ammirare soprattutto in Sicilia e in quantità notevoli intorno all'Etna, dove ne sono rimasti moltissimi ancora oggi. Molti di questi sono rimasti in produzione fino a pochi anni fa, per essere poi gradualmente sostituiti dalle cantine più moderne e tecnologicamente avanzate.

Feudo Vagliasindi, tra i più grandi e meglio conservati palmenti dell'Etna

Ma è nei tempi antichi che l'uomo ha cominciato ad avvalersene. Gli archeologi del vino ne stanno scoprendo in tutti paesi che, a partire dall'area Caucasica, si affacciano sulle rive del Mediterraneo.

I palmenti rupestri erano strutture primitive scavate sulla sommità di blocchi di roccia affioranti dal terreno. Questi dell'area Etnea, in particolare, sono ricavati dallo scavo di grandi monoliti di roccia sedimentaria, l'arenaria, una sorta di sabbia cementificata abbastanza facile da modellare.

Un palmento rupestre tipico si riconosce facilmente: è composto da due vasche poco profonde, quadrate o rettangolari, collocate ad altezze diverse (in genere seguendo la pendenza naturale della roccia affiorante), e collegate tra loro da un foro, l'elemento strutturale che fornisce la prova che sicuramente si tratta di un palmento per pigiare l'uva. Vi chiederete, perché? Semplice, la vasca posta nella posizione più alta serviva per pigiare le uve e torchiare le vinacce, la seconda - grazie al foro di collegamento - per raccogliere il liquido vinoso.

Queste strutture sorgono in aperta campagna e il tempo ha rimosso ogni possibile traccia dei molti elementi lignei che probabilmente costituivano il palmento: dalle coperture alle rudimentali "macchine" per la torchiatura delle vinacce, erano numerosi gli "accessori" a corredo dei palmenti arcaici e più antichi.

Un palmento rupestre si scorge al centro dell'immagine. Con poco sforzo si può immaginare che l'area circostante fosse occupata dalle vigne primordiali, mentre le rocce più alte potevano fungere da riparo, abitazione e punto di osservazione e difesa.
Walter Speller si arrampica su un piccolo palmento rupestre
A poca distanza, una enorme e antica quercia "monumentale", sicuramente un riparo ideale per uomini e animali

Recuperare e valorizzare questo patrimonio abbandonato

Ho voluto raccontare questa breve esperienza perché rappresenta una grande opportunità. L'insieme di questi numerosi reperti abbandonati costituisce un "contenitore" unico che testimonia l'intensa attività agricola di queste aree intorno all'Etna. Come si dice nel linguaggio forbito contemporaneo, si tratta di un "giacimento culturale", potenzialmente ricco di grandi notizie archeologiche sul "vino degli antichi" e una possibile meta per itinerari naturalistici tra le vestigia di queste strutture agricole primordiali.

Affidare questo territorio allo studio e alla ricerca di valenti ed esperti archeologi del vino, potrebbe portare alla luce - come già è avvenuto di recente in altre aree mediterranee e nella vicina Sardegna dei nuraghi (*) - una tale messe di notizie storiche che darebbero un'ulteriore grande prospettiva all'interesse crescente che oggi circonda l'area vitivinicola dell'Etna. Ferruccio Puglisi sottolinea che una campagna di scavi archeologici intorno a questi palmenti rupestri potrebbe portare alla luce i materiali lignei, gli utensili allora utilizzati e chissà, con un po' di fortuna, anche del materiale organico come i vinaccioli delle uve di quei tempi, come è avvenuto, per esempio, in alcuni scavi archeologici in Sardegna.

Per non parlare, infine, dei numerosi itinerari naturalistici che si possono realizzare per accedere a questi grandiosi reperti, esattamente come è successo a noi pochi e fortunati.

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(*) In Sardegna le più antiche testimonianze della coltivazione della vite risalgono al Bronzo Medio tardo (XV-XIV sec. a.C. ) e sono costituite dal rinvenimento nel nuraghe Duos Nuraghes di Borore di vinaccioli carbonizzati in una fase di avanzata domesticazione. Altri palmenti sono stati studiati nel piccolo centro di Ardauli (Sardegna centrale), poi ad Arzolas, a Sos Eremos, a Idd’Edera, a Tanghé, situata assai vicino alla necropoli ipogeica di Muruddu, e infine nei pressi della Tomba Dipinta di Mandras - ipogeo funerio di epoca preistorica (IV mill. a.C.). Molti di questi sono del tutto similari a questi della valle dell'Alcantara: "La tipologia più comune, scavata nella roccia affiorante, è costituita da un sistema di due vasche comunicanti attraverso un foro o un’apertura a canaletta".

(Per queste informazioni devo un ringraziamento a Cinzia Loi, ricercatrice in archeologia presso l’Università degli Studi di Sassari).

I ritrovamenti degli arcaici palmenti scavati nella roccia divennero per me frequenti e nei luoghi più disparati ed impensabili. Ve ne sono, infatti, nelle campagne coltivate, nei terreni da tempo abbandonati e adibiti a pascolo, sui cocuzzoli, in mezzo ai boschi e ovunque ci sia un monolite in grado di dare ospitalità al manufatto (...) Nella "valle dei palmenti", oltre a quelli da me scoperti, sicuramente ce ne sono ancora tanti altri, poiché la percentuale di territorio che sono riuscito ad esplorare è ancora molto bassa.

Ferruccio Puglisi

Castiglione di Sicilia
Una vecchia vite in Contrada Guardiola, azienda Passopisciaro
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Giampiero Nadali
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Giampiero Nadali

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